I sistemi di allerta interna tra opportunità ed ambiguità
Com’è noto, il decreto legislativo 14 del 12 gennaio 2019, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.ro 38 a metà febbraio 2019, ha revisionato e regolamentato alcune attività legate alla ex legge fallimentare. Tra queste novità una risulta essere del tutto innovativa: l’obbligo, da parte delle aziende (ad esclusione di alcune che non elencheremo per evitare prolissità), di monitorare l’andamento finanziario al fine di prevenire situazioni di insolvenza, le quali vengono identificate dal legislatore come momenti di “crisi”. Al fine di prevenire tali situazioni di crisi (secondo il legislatore differenti dalle situazioni di vera e propria insolvenza), il legislatore ha quindi modificato l’art 2086 del codice civile stabilendo «…il dovere dell’imprenditore, di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale».
Una osservazione va subito fatta: mentre l’obbligo di introduzione dei sistemi di allerta interna gode di una vacatio legis di 18 mesi, ossia la loro introduzione è obbligatoria da metà agosto 2020, la modifica all’articolo 2086 rende obbligatorio tale nuovo assetto organizzativo a partire da metà marzo 2019 (ossia un mese dopo dalla pubblicazione in gazzetta ufficiale). Prima di entrare nel dettaglio dei sistemi di allerta interna, è necessario precisare il fatto che l’obbligo di monitoraggio è un ruolo demandato specificatamente agli organi di amministrazione e di controllo societari – collegio sindacale e revisore unico – ciascuno nell’ambito delle proprie funzioni. Dal momento in cui il collegio sindacale è un obbligo solo per certe società che abbiano a che fare con determinati “volumi” economici e di dipendenti, il legislatore ha ampliato tale obbligo a tutte le imprese che:
abbiano almeno 2 m€ dell’attivo
abbiano almeno realizzato 2 m€ di fatturato
abbiano almeno 10 dipendenti
Va comunque da sé che tale obbligo rappresenti una vera rivoluzione per tutte quelle imprese che non sono dotate di un sistema interno di controllo di gestione, dal momento in cui il legislatore ha espressamente dichiarato che “Costituiscono indicatori di crisi gli squilibri di carattere reddituale, patrimoniale o finanziario …[omissis]… rilevabili attraverso appositi indici che diano evidenza della sostenibilità dei debiti per almeno i sei mesi successivi e delle prospettive di continuità aziendale per l’esercizio in corso…”. In sintesi è evidente che per monitorare l’andamento dei sei mesi successivi, il sistema di controllo debba essere del tipo forward-looking, ossia che guarda in avanti e dal momento in cui un sistema di controllo può guardare in avanti solo se vengono messe in atto delle previsioni economico-finanziarie, è ovvio che il legislatore impone alle aziende di dotarsi di un sistema di controllo di gestione.
E’ questa da considerare una opportunità o una minaccia per le imprese? Senza dubbio si tratta di una notevole opportunità che salvaguarda e da consapevolezza delle proprie forze alle imprese, ma che tuttavia implica un costo. Tale costo può essere contenuto se venisse dato l’incarico a professionisti preparati, ossia che possano limitare gli interventi in cinque-sei durante l’anno, strutturati in fasi del tipo: elaborazione budget, controllo scostamenti su base trimestrale e eventuale revisione/riallineamento dei valori e valutazione degli indici di allerta. In tal modo l’organo di controllo, grazie a tale affiancamento, sarebbe costantemente supportato. Una variante potrebbe essere quella di dare l’incarico a personale interno già formato o eventualmente da formare e dotarlo di uno strumento software adatto al controllo di gestione ed al monitoraggio degli indici di allerta, come ad esempio la nostra Suite Top Value, ottima da tale punto di vista. In quest’ultimo caso sarebbe un preposto interno ad affiancare l’organo di amministrazione e quello di controllo.
A questo punto, una volta chiarito il fatto che le imprese devono dotarsi di un sistema di allerta costituito da indicatori economico-finanziari ma anche da altri indicatori (pregiudizievoli, andamentali, altri parametri qualitativi…), entriamo più nel dettaglio sugli indicatori economico-finanziari. Vediamo cosa recita il comma 1 dell’articolo 13: “…[omissis]… A questi fini, sono indici significativi quelli che misurano la sostenibilità degli oneri dell’indebitamento con i flussi di cassa che l’impresa è in grado di generare e l’adeguatezza dei mezzi propri rispetto a quelli di terzi. Costituiscono altresì indicatori di crisi ritardi nei pagamenti reiterati e significativi, anche sulla base di quanto previsto nell’articolo 24”. Mentre il comma 2 recita: “Il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili, tenuto conto delle migliori prassi nazionali ed internazionali, elabora con cadenza almeno triennale, in riferimento ad ogni tipologia di attività economica secondo le classificazioni I.S.T.A.T., gli indici di cui al comma 1 che, valutati unitariamente, fanno ragionevolmente presumere la sussistenza di uno stato di crisi dell’impresa…”. Si noti bene che, mentre il legislatore non entra nel merito sugli indicatori specifici in base al settore di appartenenza dell’impresa e demanda la loro assegnazione al Consiglio nazionale dei dottori commercialisti (CNDCEC), due indicatori sono invece specificati e sono la sostenibilità degli oneri finanziari rapportati ai flussi di cassa e l’adeguatezza dei mezzi propri rispetto a quelli di terzi.
Faremo considerazioni su questi due indici successivamente, nel frattempo consideriamo l’aspetto relativo ai ritardi di pagamento reiterati e significativi. Il legislatore ha fornito alcune esemplificazioni: ritardi nei pagamenti verso dipendenti da almeno 60 giorni per un ammontare pari a oltre la metà delle retribuzioni mensili oppure ritardi nei pagamenti (debiti scaduti) verso fornitori da 120 giorni per un ammontare superiore a quello dei debiti non scaduti. Relativamente ad altri debiti e più specificatamente i debiti verso l’erario (quindi IVA, IRES, IRPEF, IRAP) ma anche INPS, INAIL… etc. è stato previsto l’obbligo per questi creditori pubblici qualificati di attivare la procedura di allerta esterna superati il limiti previsti dall’art. 15 del Codice della crisi d’impresa.
Ora, per concludere, valutiamo criticamente il monitoraggio dei due indicatori menzionati dal legislatore ed iniziamo con il concetto della sostenibilità degli oneri finanziari rapportati ai flussi di cassa. L’indice in questione, anche raccomandato dal documento n.ro 22 dell’IRDCEC, è il rapporto PFN/EBITDA dal momento in cui la PFN, Posizione Finanziaria Netta, è un indicatore dei debiti finanziari al netto dei crediti finanziari (in realtà, a titolo esaustivo, la PFN è data da: disponibilità liquide + altre attività finanziarie di breve e m/l + crediti finanziari di breve e m/l – debiti bancari – altre passività finanziarie di breve e m/l – debiti per leasing finanziario – obbligazioni emesse) mentre l’EBITDA è un valore che indica la capacità di produrre liquidità da parte dell’impresa computato come utile prima degli interessi passivi, degli ammortamenti, delle svalutazioni e della tassazione (EBITDA è difatti l’acronimo di Earnings Before Interest, Taxes, Depreciation and Amortization). Tale liquidità dovrà essere necessaria per onorare tutto ciò che non è debito commerciale poiché quest’ultimo si presuppone sia incluso nei costi operativi ed i costi sono nettificati dall’utile netto. Premesso che sarebbe più indicato rapportare la PFN con il MOL, dato che in caso contrario non verrebbero inclusi altri costi o ricavi “figurativi” come gli accantonamenti (pur escludendo il TFR) e le plusvalenze e minusvalenze, il rapporto PFN/EBITDA è un indicatore utilizzato da molti analisti. A titolo di completezza possiamo dire che un indice superiore a 4,5÷5 può essere considerato come indicatore di azienda in crisi. Ora facciamo una riflessione sull’indice, partendo dal denominatore, l’EBITDA. Perché bisogna considerare un indicatore di liquidità un valore che non includa la tassazione, non si tratta forse di una uscita come un altro costo? Passiamo ora al numeratore. La PFN potrebbe essere un indicatore di indebitamento se l’azienda non avesse piani di rientro verso fornitori o non avesse cartelle esattoriali. In caso positivo, e possiamo affermare che in questo momento circa il 25% delle aziende hanno questo tipo di debiti, come ci si comporta, non essendo essi considerati di natura finanziaria? Verrebbero certamente ignorati dall’indice, sia dal numeratore che dal denominatore… e potrebbe essere un fatale ammanco!
Tuttavia il limite più evidente dell’indice PFN/EBITDA è dato dalla implicita impossibilità di determinarne la temporalità. Se per esempio assumiamo un rapporto PFN/EBITDA numericamente pari a 5.000.000/1.500.000 avremmo un indice pari a 3,33 che potrebbe essere considerato “normale”. Tuttavia se la restituzione di quei 5 milioni di euro fosse entro due anni? Il milione e mezzo di liquidità certamente non potrebbe bastare… Se, viceversa, la PFN fosse da estinguere in dieci anni la liquidità annua generata dall’impresa sarebbe abbondantemente sufficiente. E’ il caso di riportare l’esempio di una azienda la quale, seppur avente un ottimo MOL, era impossibilitata ad onorare tutte le scadenze delle rate dei mutui. Al fine di ripristinare una situazione di sostenibilità è stato quindi deciso di consolidare i tre mutui più consistenti che erano da rimborsare nel medio periodo, attraverso un accordo di consolidamento e di rinegoziazione con rimborso nel lungo periodo con lo stesso istituto di credito. Da un punto di vista finanziario tale operazione ha praticamente risolto il problema, pur rimanendo l’indice PFN/EBITDA inalterato.
Il secondo indice che il legislatore indica in modo esplicito è “l’adeguatezza dei mezzi propri rispetto a quelli di terzi”. Si tratta quindi del classico indice di indipendenza finanziaria, rilevabile attraverso il rapporto tra mezzi propri (capitale netto-risultato netto) e totale passivo. Seppur oggetto di discussioni, una sostenibilità ritenuta positiva è per indici superiori a 0,15. Anche questo indice tuttavia potrebbe essere fuorviante per diversi ordini di motivi, tra cui il fatto che i soci potrebbero aver operato un finanziamento, magari infruttifero, non classificato nel patrimonio netto. Inoltre occorrerebbe sempre tenere presente la durata dei debiti di medio lungo termine, ossia la loro copertura temporale in termini di rimborso.
Detto ciò ci preme sottolineare come, in ogni caso, qualsiasi indicatore avrebbe dei propri limiti e solo un insieme di parametri economico-finanziari aggregati adeguatamente tra di loro potrebbero, ma solo in parte, arginare tali limiti di analisi e di giudizio. Escludendo gli indicatori “qualitativi” e gli eventi pregiudizievoli, al fine dell’analisi della sostenibilità dei pagamenti futuri, in realtà, basterebbe semplicemente una analisi oculata dei flussi di cassa prospettici (entro i sei mesi successivi). Tale analisi prospettica andrebbe revisionata periodicamente e con un certo livello di dettaglio. Ci permettiamo quindi solo di aggiungere che, di fatto, sarebbe bastato che il legislatore avesse indicato all’azienda di mettere in atto una oculata analisi prospettica dei flussi di cassa mensilizzati, attraverso modalità forse più evolute di controllo di gestione (che molte volte è interpretato come monitoraggio delle sole attività economiche d’impresa) e che per natura è forward-looking, per indicare se “…sussiste l’equilibrio economico finanziario e quale è il prevedibile andamento della gestione…” e che quindi avvenga ”…evidenza della sostenibilità dei debiti per almeno i sei mesi successivi e delle prospettive di continuità aziendale per l’esercizio in corso…”.
Luciano Cipolletti – Consulente d’Impresa specializzato in Gestione e Controllo d’impresa. Rete di Consulenti di Net Consulting srl.
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Tra i software professionali in commercio utili ai fini dei sistemi e delle procedure interne di allerta preventiva si segnala:
- la Suite TOP VALUE la quale integra un sofisticato chek up economico-finanziario – capace di individuare sul nascere uno stato di crisi aziendale (modulo Analisi di bilancio e Rating) anche grazie ad uno specifico cruscotto dedicato ai Sistemi di Allerta – con analisi di tipo dinamico idonee a valutare le prospettive di continuità aziendale (modulo Business Plan & Budget);
- il software in cloud ADEGUATI ASSETTI ORGANIZZATIVI che aiuta nell’analisi e monitoraggio degli indicatori segnaletici della crisi.
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Luciano Cipolletti è autore dei software:
Master: gestione strategica dei prodotti e dei prezzi di vendita
Simulation: progettare i risanamenti aziendali
Mark up: calcolo dei corretti margini di ricarico
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