DIRECT COSTING E VARIABLE COSTING: QUANDO PREFERIRE UNO O L’ALTRO
Parlando di contabilità industriale ed escludendo la metodologia mista analitica/industriale dell’Activity Based Costing, probabilmente la maggior parte dei lettori è abituata a fare un singolo distinguo: metodi Full Costing e metodi Direct Costing. Potrebbe essere quindi interessante approfondire l’argomento facendo una ulteriore ma fondamentale differenziazione, ossia quella tra Direct Costing e Variable Costing.
Il metodo Full Costing, come lascia intuire il termine, è un sistema di attribuzione di tutti i tipi di costo ad un prodotto o ad un servizio, siano essi diretti o indiretti, fissi piuttosto che variabili (il distinguo tra questi termini sarà indicato in dettaglio successivamente). La metodologia Direct Costing invece, onde evitare ambiguità, attribuisce al prodotto/servizio solo i costi che sorgono per la sua realizzazione, ossia i soli costi direttamente imputabili ad essi. La differenza tra prezzo di vendita e costi diretti non darà come risultato un utile netto come nel Full Costing (del tutto teorico), ma piuttosto un margine di contribuzione lordo che contribuirà alla copertura dei costi fissi.
Facciamo un semplice esempio supponendo una impresa che debba sostenere un milione di euro di costi fissi annui. Supponiamo venda due prodotti A e B, ai prezzi rispettivamente di Euro 120 ed Euro 85. Abbia quindi computato costi complessivi (metodo Full Costing) per Euro 115 sul primo prodotto ed Euro 82 sull’altro prodotto. L’utile, al lordo delle tasse, che l’impresa pensa di avere è rispettivamente di 120-115=5 € per A e 85-82=3 € per B. Optando invece per la metodologia Direct Costing e supponendo di avere costi diretti: per A di Euro 65 e per B di Euro 45, otterrebbe 120-65=55 € di margine per A e 85-45=40 € di margine per B. Ciò significa che i costi fissi sarebbero coperti per il 45,8% (55/120) del fatturato su A e per il 47,1% (40/85) del fatturato su B. Supponiamo, infine, che il fatturato su A sia di 1,3 m€ e su B di 807 k€, l’impresa in esame otterrebbe una copertura ai suoi costi fissi di 1.300.000×0,458=595.400 € + 807.000×0,471=380.100 €, la cui somma darebbe come risultato 975.500 €. È evidente che non riuscirebbe a coprire i costi fissi pari a un milione di euro, quindi chiuderebbe l’anno in perdita. Se invece i fatturati fossero di un 10% più elevati e quindi rispettivamente di 1.430.000 e di 888.000 Euro, i margini sarebbero di 1.430.000×0,458=655.000 € su A e di 888.000×0,471=418.000 € su B. La somma sarebbe pari a 1.073.000 Euro, valore che supererebbe i costi fissi. L’impresa chiuderebbe l’anno con un utile. Utilizzando invece il Full Costing l’analisi non potrebbe mai essere così matematicamente oggettiva, con l’illusione di avere comunque utili, indipendentemente dai volumi di vendita.
Il metodo è ovvio e tutto sommato semplice ma… è facile dire costi diretti di prodotto… Quali sono questi costi diretti da imputare correttamente ai prodotti o ai servizi? Vi saranno dei casi in cui assegnare come costi diretti i soli costi variabili (metodologia Variable Costing) ed in altri, oltre ai costi variabili, anche i costi fissi specifici (metodologia Direct Costing). La manodopera diretta non è, almeno nel breve periodo ed al contrario di come si studia in certe università italiane, un costo variabile, ma un costo fisso specifico. Computare la manodopera diretta come costo variabile significa tra le altre cose calcolare un margine di contribuzione lordo aziendale e quindi un punto di pareggio, assolutamente inverosimile, dal momento in cui a fatturato zero corrisponderebbe un costo di manodopera pari a zero.
Ma per entrare nei dettagli relativi all’assegnazione del costo di manodopera su un certo articolo faremo un semplice esempio su una azienda di tipo manifatturiera, assegnando questi costi al prodotto, in caso di analisi di tipo Variable: costo materie prime ed accessori, provvigioni e trasporti. Aggiungeremo il costo di manodopera diretta, oltre ai costi variabili, in caso di analisi di tipo Direct. Potrebbero però esserci dei casi in cui sarebbe necessario assegnare ulteriori costi diretti, come ad esempio una specifica campagna pubblicitaria su uno specifico prodotto. Alcuni analisti si spingono anche più in là, assegnando la quota parte di ammortamento di una macchina utensile che magari lavora solo uno specifico prodotto. Ma queste imputazioni si raccomanda sempre di usarle con la massima cautela, onde evitare congetture “fuori controllo” ed il più delle volte contraddittorie, ne parleremo più esaustivamente nel prossimo articolo.
L’assegnazione del costo di manodopera sul singolo articolo nasconde tuttavia delle enormi insidie, entriamo nei dettagli con un esempio numerico.
Supponiamo una impresa che venda un solo tipo di prodotto con un volume di vendita sull’ultimo anno di 13.200 unità ed abbia tre operai diretti, ad un loro costo complessivo annuo di 93.000 Euro. Il computo del tempo di lavoro è semplice e sarà dato da (220x480x3)/13.200=24 minuti, in cui 220 sono i giorni lavorati annui e 480 corrispondono ai minuti di lavoro giornalieri per ciascun operaio. Per computare il costo di manodopera sul singolo pezzo faremo questo calcolo: 93.000/13.200=7,05 €. Tuttavia tutte le imprese producono centinaia di prodotti, di conseguenza la formula utilizzata per il calcolo del costo di manodopera su un singolo articolo non è applicabile. Per tale motivo è giocoforza necessario utilizzare una formula più adatta, discriminante per ciascun articolo, che è la seguente: Cmndp=Txc/m’, in cui Cmndp è il costo di manodopera dell’articolo in esame, T è il suo tempo di lavoro in minuti e c/m’ è il costo al minuto della manodopera. Determiniamo quindi il costo al minuto della manodopera applicando questa formula: 93.000/(220x480x3)=0,2936 €/m’. Se difatti facciamo la controprova avremo che 24×0,2936 dà sempre 7,05 Euro di costo manodopera al pezzo, come nel calcolo precedente. Ma il calcolo è davvero affidabile? Supponiamo che l’anno successivo l’impresa non venda 13.200 pezzi ma ne venda 11.000, cosa accade? Accade che il tempo di lavoro è computato sempre a 24 minuti, ma in qualche modo la fabbrica è costretta a produrre meno. All’atto pratico i minuti effettivi di lavoro sul pezzo ora sono diventati (220x480x3)/11.000, ossia 28,8, il costo unitario di manodopera diventa pari a 93.000/11.000, oppure 28,8×0,2936, quindi pari a 8,46 €. L’incidenza del costo di manodopera sul singolo pezzo, passando da 7,05 a 8,46 Euro, aumenta del 20%. In una piccola/media azienda che produce tanti articoli diversi nessuno se ne accorge… i cicli di lavoro ed i relativi tempi continuano a conservare sempre i 24 minuti nei calcoli ed il costo risulta sempre essere di 7,05 Euro a pezzo. Diremo di più: sarebbe anche illogico modificare in continuazione i tempi con quelli registrati a consuntivo, su ogni lotto di lavoro non ci potrebbero mai essere tempi uguali ai precedenti, ecco perché normalmente le imprese lavorano con tempi e costi/minuto standard.
Guardiamo ora il problema da un’altra angolazione: con 13.200 pezzi venduti l’impresa calcola correttamente 93.000 Euro di costo del lavoro annuo e si ha la quadratura. Con 11.000 pezzi, invece, l’impresa sta computando 11.000×7,05, ossia 77.550 Euro annui di manodopera, ossia sta sottostimando il costo di manodopera complessivo annuo del 16,6%. In questo caso diremo che si verifica un sottoassorbimento di costo di manodopera. Vi sono aziende che pagano costi di manodopera diretta che può raggiungere anche un milione e mezzo di euro annuo. Sottostimare tale costo del 16,6% significa non computare 250 mila euro di costi. L’utile potrebbe essere seriamente compromesso e “nascosto” nei calcoli. Viceversa, se l’impresa in esame dovesse vendere 14.000 pezzi, sovrassorbirebbe invece (14.000×7,05)-93.000=5.700 Euro di costo di manodopera, posto che non assuma nuovo personale. A questo punto chiediamoci: quali sono gli elementi che possono fuorviare il calcolo del costo di manodopera nella sua imputazione sul Direct Costing? Abbiamo parlato di volumi di vendita ma in realtà le variabili per cui il costo di manodopera può essere diverso da quello che viene imputato a standard dipende da tanti fattori, magari anche combinati tra di loro:
- insaturazione degli impianti;
- assenteismo;
- rendimento;
- ore di lavoro perse per scioperi, fermi macchina…;
- tempo perso per cause non dipendenti dalla fabbrica (mancanza materie prime, errata programmazione…);
- …
In sintesi, e per non farla troppo lunga, determinare un corretto costo di manodopera su un articolo è una impresa molto ardua, almeno quanto il dover assegnare un qualsiasi altro costo fisso al prodotto (regola per cui si evita di lavorare con il Full Costing). Ciò accade perché si vuole trasformare un costo di periodo come è il costo di manodopera diretta, in un costo di prodotto. Il problema dell’assegnazione dei costi fissi su un prodotto o su un servizio è che essi sono costi di periodo, non sono costi di prodotto e quindi, relativamente alla loro assegnazione, molto dipenderà da quanto si produce in quel periodo. Proprio per questo motivo alcuni consulenti, per stabilire i prezzi di vendita dei vari articoli, fanno riferimento al solo loro costo delle materie prime, che poi moltiplicano per un adeguato mark up.
A questo punto ed a titolo esaustivo, faremo alcuni esempi per distinguere costi variabili, costi fissi, costi diretti e costi indiretti. Un esempio di costo variabile diretto è il costo per materie prime; esempi di costi variabili indiretti possono essere le manutenzioni, l’utensileria, i materiali di consumo… e così via; un esempio di costo fisso diretto è il costo di manodopera; quasi tutti gli altri costi aziendali, inclusa la manodopera indiretta, sono costi fissi indiretti. Per non complicare troppo il modello non abbiamo volutamente parlato dei costi semifissi e semivariabili. Faremo un solo esempio: il costo per l’energia elettrica è un classico costo semivariabile perché composto da una parte fissa (il trasporto) e da una parte variabile (il consumo vero e proprio). Tramite l’apposita funzione in excel è possibile scorporare i due valori, attraverso l’equazione della retta (y=ax+b) costruita sul grafico.
Ora torniamo al quesito iniziale: quando utilizzare il Variable e quando il Direct Costing? Onde evitare calcoli fuorvianti utilizzeremo il Variable Costing nel caso in cui l’impresa sia una commerciale e magari non abbia spese dirette ed univoche su una linea prodotto o clientela, oppure in caso di azienda insatura (in tal caso il costo di manodopera non sarebbe differenziale), oppure non riesca a determinare in modo affidabile i tempi di lavoro, oppure i tempi di lavoro sono bene o male equivalenti su tutti i prodotti. Utilizzeremo il Direct Costing per fare analisi di confronto sulla redditività dei vari articoli, ad esempio nel caso occorra spingere qualche vendita, oppure in caso di canvass premianti su clienti o agenti o in caso sia necessario strutturare delle scale premio sui venditori. Ricordiamo, difatti, che le scale premio non vanno mai pensate in base ai fatturati ma in base ai margini lordi complessivi, dato che non sarebbe molto difficile aumentare le vendite praticando sconti più elevati del normale. Per la definizione dei prezzi valgono entrambi i metodi, Variable piuttosto che Direct.
Un software che determina in modo adeguato i ricarichi da applicare sui costi è Mark-Up. Si tratta di un semplicissimo tool in cui basta inserire solo tre dati per ottenere i giusti risultati. Lavora sia con metodo Variable che con metodo Direct Costing.
Link presentazione software Mark Up: https://www.netconsulting.srl/software/markup-calcolo-margine-ricarico/
Link video presentazione software Mark Up: https://youtu.be/v460SGjVDPU
Luciano Cipolletti – Consulente d’Impresa specializzato in Direzione ed Organizzazione d’impresa. Rete di Consulenti di Net Consulting srl
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Luciano Cipolletti è Autore dei software:
Master: gestione strategica dei prodotti e dei prezzi di vendita
Simulation: progettare i risanamenti aziendali
Mark up: calcolo dei corretti margini di ricarico
Job Activities: ridisegna il più efficiente organigramma
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