Full e Direct costing: le trappole da evitare nella valutazione delle Rimanenze

Full e Direct costing: le trappole da evitare nella valutazione delle Rimanenze

Per una azienda di produzione, l’utile d’esercizio è determinato sommando al fatturato le rimanenze finali di semilavorati e finiti, sottraendone poi le rimanenze iniziali e infine togliendo tutti i costi, compresi quelli per le materie prime. Tale calcolo matematico considera anche la merce destinata al magazzino poiché tende a stabilire un nesso tra ciò che si è venduto e quanto si è prodotto. La struttura del Conto Economico, riclassificato a Valore della Produzione, è indicato nella tabella successiva (in tal caso non sono state prese in considerazione altre voci, come ad esempio i lavori in economia, che pure farebbero parte del valore della produzione).

Fatturato netto delle merci +
Rimanenze finali di semilavorati e prodotti finiti –
Rimanenze iniziali di semilavorati e prodotti finiti =
Valore della Produzione

Restare con rimanenze a fine anno più basse di quelle di inizio anno significa evidentemente averle utilizzate per la vendita, per cui in casi di questo tipo il valore della produzione risulterebbe minore del fatturato. Dal punto di vista dei costi, invece, se a fine esercizio restano meno merci di materie prime in relazione all’inizio, è evidente che ne sono state acquistate meno in relazione ai fabbisogni, avendo consumato quelle che erano stoccate ad inizio anno.

Dal momento in cui semilavorati e prodotti finiti hanno un valore costituito da due elementi: costo materie prime + valore aggiunto è ovvio che, diminuendo le scorte finali, diminuisce il valore aggiunto che “stocchiamo” a magazzino e che costituisce ricavo, così da penalizzare il Valore della Produzione. Dato che l’utile è ad esso conseguente, paradossalmente accade che, a parità di altre condizioni, il profitto diminuisce in maniera proporzionale con il diminuire delle scorte. Così accade che, un’ottima operazione finanziaria come quella di ridurre drasticamente semilavorati e prodotti finiti, potrebbe invece addirittura portare ad una perdita di bilancio.

Emerge così un quadro globale contraddittorio: è possibile che senza aumentare nessun costo e migliorando la gestione finanziaria, attraverso un utilizzo delle scorte giacenti a magazzino, l’azienda ne debba uscire penalizzata?

Ma l’aspetto relativo alla contabilizzazione delle giacenze influisce in maniera significativa anche nella valutazione dei risultati infrannuali, computati attraverso le attività di controllo di gestione.

Faremo un esempio molto semplice, considerando un’attività aziendale mono prodotto.

Per semplicità considereremo pari a zero le scorte di inizio anno e faremo in modo che a fine anno le rimanenze si azzerino nuovamente. Questo per “chiudere il cerchio”, nello stesso periodo, tra le attività di produzione e quelle di vendita. Ipotizziamo inoltre tre quadrimestri in cui le vendite siano perfettamente uguali tra di loro. Il prospetto relativo alle scorte, in numero pezzi, è indicato in tabella successiva.

1° quadr. 2° quadr. 3° quadr. Totale
Rimanenze Iniziali         –          800       800       –
Produzione    2.500       1.700       900  5.100
Vendita    1.700       1.700    1.700  5.100
Rimanenze Finali       800          800         –       –

Stabiliamo inoltre di avere questi valori sul prodotto:

  •               prezzo di vendita 66 €
  •               costo per materia prima 25 €
  •               incidenza del costo di manodopera pari a 12 € a pezzo
  •               altri costi variabili pari a 5 € a pezzo.

Infine supponiamo di dover sostenere i seguenti costi fissi della struttura, riferiti all’anno:

  •      Costi industriali generici: 51.000 €
  •      Costi amministrativi:     30.600 €
  •      Costi commerciali:        24.600 €

Valorizzando le rimanenze con il classico metodo del Full Costing verrebbe fuori il prospetto visibile in tabella successiva.

1° quadr. 2° quadr. 3° quadr. Totale Note
Unità prodotte      2.500      1.700        900      5.100
Unità vendute      1.700      1.700      1.700      5.100
Fatturato  112.200  112.200  112.200  336.600 C=B*66
Rimanenze iniziali           –    46.400    46.400           –
Materie prime    62.500    42.500    22.500  127.500 E=A*25
Manodopera diretta    30.000    20.400    10.800    61.200 F=A*12
Altri costi variabili di produzione    12.500      8.500      4.500    25.500 G=A*5
Costi indiretti fissi    17.000    17.000    17.000    51.000 H=51000/3
Rimanenze finali    46.400    46.400           –           –
Costo industriale del venduto    75.600    88.400  101.200  265.200 L=D+E+F+G+H-I
Utile lordo ind.le    36.600    23.800    11.000    71.400 M=C-L
Spese commerciali      8.200      8.200      8.200    24.600 N=24600/3
Spese ammin.ve    10.200    10.200    10.200    30.600 O=30600/3
Utile netto operativo    18.200      5.400 –    7.400    16.200 P=M-N-O

Il valore delle rimanenze (riga I), a costo standard, è calcolato nel seguente modo: costo materie prime, 25€ + costo manodopera, 12€ + altri costi variabili di produzione, 5€ + incidenza dei costi fissi generici di produzione, 10€ + incidenza dei costi fissi amministrativi, 6€. Per cui il valore di una unità di prodotto finito è pari a 58€. Alla fine del 1° quadrimestre le rimanenze hanno quindi un valore complessivo pari a 58×800=46.400€.

La cosa sorprendente è che, pur con fatturati perfettamente uguali e pari a 112.200 € (riga C), l’azienda chiude i tre periodi con risultati completamente diversi tra loro (riga P), addirittura con una perdita nell’ultimo quadrimestre.

Cosa potrebbe succedere nella realtà con questi risultati? Le considerazioni della Direzione sulla gestione del primo quadrimestre sarebbero esaltanti, a seguito di un utile del 16,2%. I primi di settembre gli entusiasmi si spegnerebbero e a gennaio si convocherebbe una riunione d’urgenza con tutti i responsabili per verificare il motivo della perdita dell’ultimo periodo gestionale.

Come può accadere una situazione così strana, a parità di fatturati? La risposta è da cercare nella valorizzazione delle rimanenze. Con il sistema adottato si tende a premiare la produttività, anziché le vendite. Difatti è possibile notare che tanto più è alto il numero di pezzi prodotti, quanto più è elevato il risultato d’esercizio. Questo accade perché, come abbiamo avuto modo di dire, nel valore delle rimanenze vengono sommati una serie di costi ripartiti dai costi fissi e tale valore viene poi a costituire ricavo. Per cui meno stocchiamo la merce a magazzino meno produciamo utili. Bisogna infine aggiungere che il metodo considerato per la valorizzazione delle rimanenze è quello adottato anche dalla maggior parte delle imprese e implicitamente indicato come metodo matematico dalla Contabilità Generale e dal nostro sistema fiscale. Nota: Diverse aziende valorizzano le giacenze anche includendo la parte di competenza dei costi fissi commerciali. In tal caso l’effetto della distorsione dei risultati è ancora più marcata poiché alle rimanenze si aggiungono maggiori valori che vengono a dipendere dalla produzione e non dalla vendita. Altre aziende includono nel valore delle rimanenze, oltre ai costi diretti, solo i costi fissi industriali e quindi non i costi amministrativi. In tal modo la distorsione nei risultati c’è sempre, ma è meno marcata.

A questo punto il quesito è: l’obiettivo dell’azienda deve essere quello di produrre o quello di vendere? Ma se deve essere davvero quello di vendere, perché la contabilità premia la produttività? Dato che questi sono i meccanismi contabili, le analisi e le considerazioni che ne scaturiscono rischiano di non essere attinenti alla realtà. Inoltre premiando la produzione implicitamente si è indotti a produrre di più, magari ricorrendo a straordinari o studiando premi ed incentivi orientati verso i massimi rendimenti. Il paradosso è quello di veder crescere ulteriormente le spese.

La contabilità dei costi a volte induce a considerazioni oggettivamente non verosimili e del tutto fuorvianti.

Quale potrebbe essere quindi il metodo che ci permetta di non cadere in queste trappole? A volte la soluzione di un problema si trova solo “uscendo fuori dal problema stesso” e analizzando il fatto partendo da un’altra angolazione. In effetti l’angolazione giusta sarebbe quella di valorizzare le scorte con il metodo del Direct Costing, piuttosto che quella del Full Costing, togliendo quindi l’effetto del “valore aggiunto”, per evitare paradossi come quello descritto.

Così facendo i risultati legati al controllo di gestione su base infrannuale darebbero risultati certamente più obiettivi.

Difatti, con la stessa simulazione del volume di merci indicato nella prima tabella e con gli stessi valori di costi e ricavi, valorizzando le rimanenze in base al Direct Costing, si otterrebbero i risultati indicati in tabella successiva.

1° quadr. 2° quadr. 3° quadr. Totale Note
Unità prodotte      2.500      1.700        900      5.100
Unità vendute      1.700      1.700      1.700      5.100
Fatturato  112.200  112.200  112.200  336.600 C=B*66
Rimanenze iniziali           –    33.600    33.600           –
Materie prime    62.500    42.500    22.500  127.500 E=A*25
Manodopera diretta    30.000    20.400    10.800    61.200 F=A*12
Altri costi variabili di produzione    12.500      8.500      4.500    25.500 G=A*5
Rimanenze finali    33.600    33.600           –           –
Costo industr. variab. del venduto    71.400    71.400    71.400  214.200 I=D+E+F+G-H
Margine di contribuzione    40.800    40.800    40.800  122.400 L=C-I
Spese commerciali      8.200      8.200      8.200    24.600 M=24600/3
Spese ammin.ve    10.200    10.200    10.200    30.600 N=30600/3
Spese industriali    17.000    17.000    17.000    51.000 O=51000/3
Totale costi fissi    35.400    35.400    35.400  106.200 P=M+N+O
Utile netto operativo      5.400      5.400      5.400    16.200 Q=L-P

Il valore unitario delle scorte è stato calcolato sommando solo i costi diretti di produzione, ossia: costo materie prime, 25€ + incidenza costo manodopera, 12€ + incidenza altri costi variabili di produzione, 5€, per un valore totale pari a 42€. Il valore complessivo delle rimanenze alla fine del 1° quadrimestre (riga H) è quindi pari a: 42×800=33.600€.

In questo caso si può notare una omogeneità di risultati nei tre quadrimestri (riga Q) proprio perché non sono stati assoggettati tra le rimanenze, i 16€ a pezzo della ripartizione dei costi fissi di produzione ed amministrativi. Difatti ora nel 1° quadrimestre “mancano” 16×800, ossia 12.800 € di rimanenze finali, ossia di ricavi. Nel secondo periodo le rimanenze finali si annullerebbero comunque con quelle iniziali per cui il risultato con o senza valorizzazione a Direct Costing sarebbe lo stesso, dato che produzione e vendite sono uguali tra loro e le scorte restano inalterate. Nel terzo quadrimestre invece svanisce l’effetto dei 12.800 € inserite tra le rimanenze iniziali, ossia a costo, pertanto il risultato d’esercizio migliora di tale importo.

Luciano Cipolletti – Consulente d’Impresa specializzato in Direzione ed Organizzazione d’impresa. Rete di Consulenti di Net Consulting srl.

Autore dei software:

Master: gestione strategica dei prodotti e dei prezzi di vendita

Simulation: progettare i risanamenti aziendali

Mark up: calcolo dei corretti margini di ricarico

Job Activities: ridisegna il più efficiente organigramma

********

Articoli precedenti dell’Autore:

I segnali dello stato di pre-crisi dell’impresa

Management e Leadership

L’importanza della Leadership

Le caratteristiche di un leader