Guadagnare con i prodotti “sottocosto”: misurare la redditività di un prodotto o di un servizio.

Guadagnare con i prodotti “sottocosto”: misurare la redditività di un prodotto o di un servizio.

Questo articolo serve per chiarire, con un esempio molto pratico, il vero significato di prodotto o servizio venduto sottocosto, in base all’equazione: prezzo-costi complessivi.

Facciamo l’esempio di una azienda che abbia determinato il proprio costo/minuto aziendale come pari a 1,2€/m e ulteriori 0,35€/m relativi al costo di manodopera, e che abbia questi dati per un certo articolo:

·   costo materia prima (CMP): 24€

·   tempo di lavoro: 51 minuti

·   provvigioni: 7%

·   trasporto di terzi: incidenza media di 6€ al pezzo

·   margine di utile netto desiderato: 15%

La “classica” determinazione del prezzo dell’articolo sarà quindi una equazione di primo grado, in cui il prezzo (X) venga così determinato:

X = 24 + 51*1,2 + 51*0,35 + 0,07X + 6 + 0,15X.

E’ facile arrivare alla conclusione che l’equazione si risolva per X=139,81€.  In tal caso 51*1,2+51*0,35 ossia 79€, rappresenta il costo di valore aggiunto (o di trasformazione o di lavorazione) del prodotto e che 139,81/[(51×0,35)+24]=3,34 rappresenti il fattore mark-up su materia prima + manodopera (ossia sul costo primo) indirettamente utilizzato.

Si sta così implicitamente dicendo che i costi fissi che il prodotto dovrà “assorbire”, manodopera inclusa, saranno pari a 79€. E’ bene specificare che in tal caso si è adottato un criterio di associazione (definito cost-drive) costo->tempo.

Altri metodi di ribaltamento dei costi fissi, ossia altri cost-drive utilizzabili, darebbero certamente risultati diversi. Ad esempio se si dovessero ribaltare i costi fissi usando come cost- drive il fatturato realizzato da ciascun articolo, il prezzo risulterebbe completamente diverso. In tal caso l’incidenza dei costi fissi sarebbe espressa in termini percentuali sul fatturato e quindi così indicata nell’equazione di sopra. A titolo non esaustivo possiamo dire che i cost-drive maggiormente utilizzati nella pratica aziendale, oltre ai tempi di lavoro, sono:

·   fatturati

·   volumi di vendita (in unità)

·   costo materie prime

Quali di tutti questi cost-drive è più esatto ? Nessuno lo potrà mai dire. Si potrebbe verificare addirittura il paradosso che per la stessa impresa, certe volte è più adatto, nei confronti del prezzo target di mercato, un ribaltamento per costo materie prime, altre  volte  lo  è  utilizzando  i  tempi  di  lavoro.

Se  si  dovesse  valutare  l’argomento  in maniera il più possibile oggettiva, si potrebbe dire che il metodo più ovvio è quello di scaricare  tanti  più costi  quanto  più  un  prodotto  ha  alti  tempi  di  realizzazione.  Per questo   il   cost-drive   costituito   dai   tempi   di   lavoro   sembra   essere   il   metodo maggiormente utilizzato, tuttavia non sempre le imprese sono organizzate per avere rilievi sui tempi di produzione.

Ma la domanda da porsi è: con il prezzo calcolato precedentemente (con una metodologia definita a Full Costing), quanto renderebbe in termini di utili l’articolo esaminato ? Si potrebbe rispondere 21€ (15% di 139,81€).

Quindi la naturale osservazione è che un prezzo di vendita a “costo”, quindi a 118,81€ (139,81-21) darebbe la possibilità all’impresa di recuperare i soli costi complessivi, senza avere nessun margine di utile. Quindi se l’impresa dovesse trovare un committente che offra 110 Eur, con un mark-up implicito pari a 2,63, poiché la risultanza di 110/(24+51*0,35), quasi certamente sarebbe indotta a rifiutare la vendita perché “sottocosto”, con una potenziale perdita di 8,81€ a pezzo.

Ma le cose non stanno così.

In base a quanto detto, difatti, è piuttosto facile intuire che la non vendita del prodotto non permetterebbe all’impresa di “recuperare” quei famosi 79€ di costi fissi i quali, moltiplicati per le unità di vendita del committente, ad esempio 1.000 pezzi, genererebbero un “recupero” di costi fissi, pari a 79 mila Euro.

Tuttavia il committente non è disposto a pagare il prezzo stabilito, ma soli 110€. Quindi l’impresa, rifiutando la vendita, in realtà quanti costi fissi non potrebbe recuperare ? Per rispondere alla domanda scomponiamo il prezzo di 110€ assegnando al prodotto i soli costi variabili ossia quei costi che l’impresa deve sempre sostenere per la produzione e la vendita del prodotto: 24€ + 0,07*110 + 6. La formula restituisce un costo variabile di 37,7€. Quindi, ad un prezzo di 110€, vi sarebbe un “margine” per recuperare i costi fissi (manodopera inclusa) pari a 110- 37,7, ossia 72,3€. Con una vendita di 1.000 pezzi al committente, l’impresa “recupererebbe” non 79 mila euro ma 72,3 mila euro di costi fissi, altrimenti persi. Questa è la vera redditività di un prodotto. Allora accettando un prezzo di 110€ si creerebbero utili o perdite per l’impresa ? Ossia a 110€ e con costi complessivi computati sull’articolo pari a 118,81€ l’impresa “rimetterebbe” ?

La vera perdita vi sarebbe solo se il prezzo di vendita non dovesse coprire i costi variabili ed il costo di manodopera. Ma quest’ultimo è da computare come costo variabile solo se l’azienda è satura. In caso contrario il costo di manodopera non sarebbe “differenziale” poiché si tratterebbe di un costo fisso comunque da sostenere, come tutti gli altri costi fissi.

Conclusione:

il prezzo sotto al quale l’azienda non potrebbe scendere sarebbe quindi pari a:

§ X = 24 + 51*0,35 + 0,07X + 6, ossia 51,45€, in caso di azienda satura, mark-up implicito pari a 1,23, computando la manodopera;

§ X = 24 + 0,07X + 6, ossia 32,26€, in caso di azienda insatura, mark-up implicito pari a 1,34, senza computare la manodopera.

Si  può  a  questo  punto  affermare  che  la  redditività  di  un  prodotto  non  si  misura sottraendo al prezzo di vendita i costi complessivi sostenuti per realizzarlo e venderlo (così  da  ottenere  un  utile  netto),  se  per  “costi  complessivi”  si  intende  la  somma  di costi diretti ed indiretti, fissi e variabili. La redditività di un prodotto si misura attraverso la capacità di poter assorbire i costi fissi di struttura, che non rappresentano costi di prodotto ma piuttosto costi di periodo. Quindi la vera redditività di un articolo è data dalla capacità di recuperare quanti più costi fissi possibile, non dal suo utile netto, il cui calcolo, quando svolto, è puramente teorico e non porta a nessuna considerazione oggettiva.

Matematicamente, identificati con:

·   PV il prezzo

·   CV il costo variabile e

·   MdCL la capacità di recupero dei costi fissi, avremo che MdCL = PV – CV.

Se un prodotto venduto a 100 ha costi variabili per 60, esso, per ogni unità  di vendita, permette un “recupero” di costi fissi pari a 40, ossia ha un margine di contribuzione lordo del 40%. Quindi se l’articolo in questione fattura 67.000€ annui, esso da solo permette un recupero di costi fissi pari a 67.000 * 0,4 cioè 26.800 €.

Occorre quindi eliminare l’idea che un prodotto genera utili netti (che, occorre ribadirlo, sono solo calcolati in via del tutto teorica) ma solo utili lordi, chiamati appositamente margini di contribuzione lordo (MdCL). Da qui si evince anche che un prodotto venduto “in perdita” secondo il full costing può tranquillamente generare utili, poiché permette comunque di recuperare costi fissi. In sintesi un prodotto in perdita è solo quello venduto con prezzo inferiore ai propri costi variabili. Va da sé che se tutti i prodotti dovessero essere venduti con margini pari o leggermente superiori ai propri costi variabili, si rischierebbe alla fine di non riuscire a recuperare tutta la mole di costi fissi dell’azienda. Ecco che quindi si rende necessario adottare delle politiche di prezzo, in base alle specificità dei prodotti (ossia dal loro livello di competitività), al loro mix delle vendite, ed ai committenti con i quali si ha a che fare.

Si aggiunge che le politiche di prezzo si rendono indispensabili in caso di insaturazione aziendale.

Oggi esiste un applicativo software pratico, veloce ed economico: Mark-up. L’applicativo permette, attraverso la sola immissione di tre input, la determinazione istantanea del fattore di ricarico per l’impresa (definito, appunto, mark-up o cost plus pricing), in base alle specificità del settore/azienda/prodotto, generando anche un “range” di potenziali valori. Mark-up gestisce poi una serie di altre opzioni come ad esempio la possibilità di valutare come diminuire i costi o aumentare il fatturato per poter applicare un ricarico che restituisca prezzi in “linea” con i competitors. Mark-up è quanto di più semplice si possa concepire nell’affrontare un argomento tanto delicato quanto quello del pricing. Mark-up è dotato di un manuale molto esaustivo in relazione all’argomento, di circa 50 pagine, è quindi adatto anche ai “non addetti ai lavori”. L’help è contestuale in base alla form in cui l’utente sta lavorando.

Data Business è invece un software altamente evoluto che consente di analizzare con estrema precisione e flessibilità la marginalità per singolo movimento di vendita, prodotto e famiglie di prodotti, cliente, canale distributivo, mercato.

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Luciano Cipolletti – Consulente d’Impresa specializzato in Direzione ed Organizzazione d’impresa. Rete di Consulenti di Net Consulting srl.

Autore dei software:

Master: gestione strategica dei prodotti e dei prezzi di vendita

Simulation: progettare i risanamenti aziendali

Mark up: calcolo dei corretti margini di ricarico

Job Activities: ridisegna il più efficiente organigramma

Software di finanza aziendale suggeriti:

Suite TOP VALUE: Budget, Business plan, Analisi di bilancio, Rating e Allerta Crisi, Valutazione aziendale.

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Articoli precedenti dell’Autore:

Full e Direct Costing

I segnali dello stato di pre-crisi dell’impresa

Management e Leadership

L’importanza della Leadership

Le caratteristiche di un leader